Persona svenuta dinanzi alla porta della ‘Guardia medica’: colpevole il dottore che non esce per fornire soccorso

I magistrati ribadiscono che, Codice Penale alla mano, ai fini della configurabilità del reato di rifiuto di atti d’ufficio è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti

Persona svenuta dinanzi alla porta della ‘Guardia medica’: colpevole il dottore che non esce per fornire soccorso

Svenimento dinanzi alla porta della struttura che ospita il ‘Servizio di continuità assistenziale’ (ossia la vecchia ‘Guardia medica’): condanna sacrosanta per il medico di turno che, pur essendosi reso conto della situazione, evita di mettere piede fuori e così non presta alcun soccorso alla persona stesa a terra.
Questa la secca posizione assunta dai giudici (sentenza numero 17489 dell’8 maggio 2025 della Cassazione) a chiusura del processo originato da quanto verificatosi in provincia di Messina.
Ricostruito l’episodio, il medico finito sotto accusa viene ritenuto colpevole del reato di rifiuto di atti d’ufficio. Inevitabile la condanna, quindi, con sanzione fissata in Appello in una pena pecuniaria sostitutiva consistente in una multa da 7mila e 200 euro.
In sostanza, per i giudici di secondo grado non ci sono dubbi sul peso specifico da attribuire alla condotta tenuta dal medico, il quale, pur essendo di turno presso la ‘Guardia medica’, si è rifiutato di visitare e prestare soccorso e assistenza ad un uomo che, a causa di un malore dovuto all’assunzione di sostanze alcoliche, era svenuto proprio davanti alla porta della struttura sanitaria ed aveva riportato un trauma alla testa.
Secondo la difesa, però, è possibile ridimensionare i fatti e porre in dubbio il dolo del reato attribuito al medico, soprattutto tenendo presente lo stato di torpore (riferito dai testimoni in dibattimento) in cui egli versava in quei frangenti a causa dell’antidolorifico assunto e della imprevedibilità dei suoi effetti sul corpo e sulla psiche. In aggiunta, poi, la difesa pone in evidenza il lieve danno causato alla persona offesa, l’episodicità della condotta e le complessive modalità del fatto.
Per i magistrati di Cassazione, però, le obiezioni difensive sono fragilissime e non possono mettere in dubbio la colpevolezza del medico.
Innanzitutto, viene negata ogni possibile rilevanza scusante alla asserita assunzione di un farmaco antidolorifico: ciò soprattutto tenendo conto delle competenze professionali del medico e della condotta tenuta al momento in cui si presentò alla ‘Guardia medica’, chiedendo assistenza, la persona offesa.
Ampliando l’orizzonte, poi, i magistrati osservano che, Codice Penale alla mano, ai fini della configurabilità del reato di rifiuto di atti d’ufficio è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti.
Ebbene, nella vicenda oggetto del processo, la consapevolezza del medico è palese, soprattutto tenendo conto della situazione effettivamente da lui constatata nel momento in cui, guardando dallo spioncino della porta della ‘Guardia medica’, si rese conto che vi era una persona priva di sensi e sanguinante e, ciò nonostante, rifiutò deliberatamente di aprire la porta e di prestare la dovuta assistenza.
Impossibile, poi, parlare di fatto non grave, poiché il medico, nonostante le sue funzioni, ha omesso consapevolmente di prestare assistenza ad un soggetto in condizioni critiche, privo di sensi e con il volto sfregiato».
Nessun dubbio, in conclusione, sulla condanna del medico.

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