Divorzio: il diritto ad una quota del ‘TFR’ non include i conferimenti nella previdenza complementare

Tuttavia, le eventuali prestazioni di previdenza complementare successivamente conseguite per effetto di tali conferimenti possono, in presenza degli altri requisiti di legge, incidere sulla quantificazione o sulla modifica dell’assegno divorzile

Divorzio: il diritto ad una quota del ‘TFR’ non include i conferimenti nella previdenza complementare

In materia di divorzio, la legge, nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniuge, non si applica agli atti di disposizione del ‘TFR’ consentiti dall’ordinamento, quali sono i conferimenti in un ‘Fondo di previdenza complementare’ del ‘TFR’ già maturato, ove siano eseguiti prima della proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, fermo restando che le eventuali prestazioni di previdenza complementare successivamente conseguite per effetto di tali conferimenti, in presenza degli altri requisiti di legge, possono incidere sulla quantificazione o sulla modifica dell’assegno divorzile.
Questo il principio fissato dai giudici (sentenza numero 20132 del 18 luglio 2025 della Cassazione) a chiusura del contenzioso relativo alle pretese economiche avanzate da una donna nei confronti dell’ex marito.
Per fare chiarezza, i giudici partono proprio dalla legge sul divorzio, che
impone di limitare l’importo, dovuto al titolare dell’assegno divorzile, alla somma percepita dall’ex coniuge al momento della cessazione del rapporto di lavoro, mentre da tale importo debbono essere escluse le somme incassate in forma anticipata dal lavoratore durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, in quanto definitivamente entrate nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto. In aggiunta, poi, la riforma previdenziale del 2005 ha previsto la possibilità per il lavoratore di mantenere il proprio ‘TFR’ in azienda o di destinarlo ad un qualsiasi fondo di previdenza complementare, precisando che il rapporto tra lavoratore e ‘Fondo di previdenza complementare’ è di natura contrattuale e consente al lavoratore il conseguimento di una prestazione previdenziale integrativa. In altre parole, il ‘TFR’ ha natura retributiva, ma il ‘TFR’ conferito al fondo previdenziale dal datore di lavoro assume natura previdenziale. Il ‘TFR’, inoltre, viene percepito al momento della cessazione del rapporto di lavoro, mentre le somme erogate dal fondo pensionistico vengono erogata al raggiungimento dei requisiti per la percezione della pensione.
Non possono essere considerate, quindi, le somme destinate a un ‘Fondo di previdenza complementare’, poiché la disposizione normativa riconosce al coniuge divorziato titolare di un assegno divorzile la quota del 40 per cento del ‘TFR’ percepito alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre le somme spettanti per la prestazione previdenziale complementare non vengono riscosse in tale momento, ma alla maturazione dei requisiti per la pensione. Tali somme, peraltro, non sono riconosciute come liquidazione, ma come pensione integrativa.
Da tenere presente poi, che a modalità di calcolo del trattamento di fine rapporto, basata non più sull’ultima retribuzione del prestatore ma sui compensi a quest’ultimo tempo per tempo erogati, e periodicamente rivalutati, consente di affermare che il trattamento in questione costituisce un compenso ancorato allo sviluppo economico che ha avuto la carriera del lavoratore. Al trattamento di fine rapporto è così comunemente riconosciuta la natura di retribuzione differita.
Oggi si annette al trattamento di fine rapporto carattere retributivo e sinallagmatico, e lo si definisce come istituto di retribuzione differita, che matura anno per anno attraverso il meccanismo dell’accantonamento e della rivalutazione. Il ‘TFR’ maturato costituisce, dunque, a tutti gli effetti, un credito del lavoratore certo e liquido, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina l’esigibilità.
Così, il ‘TFR’ maturato è, in sintesi, quello già determinato, anche se non ancora erogabile prima della cessazione del rapporto di lavoro. Esso si distingue concettualmente dal ‘TFR’ maturando, il quale, rispetto a momento in cui è considerato, costituisce in credito futuro, che maturerà a seguito dell’esecuzione delle prestazioni lavorative non ancora poste in essere.
Ciò detto, è evidente, secondo i giudici, che il diritto alla quota dell’indennità di fine rapporto prevista dalla legge sul divorzio non può essere esteso alla prestazione di previdenza complementare, erogata a seguito della cessazione del rapporto di lavoro e alla ricorrenza degli altri presupposti di legge e di contratto, anche quando viene corrisposta in forma capitale una tantum, poiché si tratta di un credito del tutto diverso, vantato nei confronti di un soggetto diverso e in virtù di un titolo negoziale diverso, che prevede condizioni del tutto diverse.
Decisivo il riferimento alla radicale differenza tra la prestazione di previdenza complementare e il trattamento di fine rapporto. Il ‘TFR’ deriva, infatti, dal rapporto di lavoro ed è esigibile nei confronti del datore di lavoro, assumendo, come sopra evidenziato, natura di retribuzione differita. Il trattamento di previdenza complementare ha titolo nell’accordo che ha portato all’adesione al ‘Fondo previdenziale’ ed è esigibile nei confronti di quest’ultimo, avendo, appunto, carattere previdenziale, svincolato da ogni nesso di corrispettività diretta con la prestazione di lavoro.
Nell’ottica, quindi, della spettanza o meno all’ex coniuge titolare di assegno divorzile della quota di ‘TFR’ maturato, conferito in unica soluzione prima dell’introduzione del giudizio di divorzio, non assume rilievo la prestazione previdenziale successivamente erogata, essendo in discussione la rilevanza giuridica dell’atto di disposizione del lavoratore, che si è avvalso della facoltà di conferire nel ‘Fondo’ il TFR già maturato, ma non conferito nel ‘Fondo di previdenza complementare’.
In sostanza, la disposizione con cui il lavoratore attribuisce al datore di lavoro il compito di conferire il ‘TFR’ costituisce una modalità di conferimento nel ‘Fondo’. Una volta che il datore di lavoro ha adempiuto a tale incarico secondo le indicazioni del lavoratore, le somme versate nel ‘Fondo’ non fanno più parte del ‘TFR’ da liquidare a quest’ultimo al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Il lavoratore, però, per effetto del menzionato conferimento, acquista il diritto alle prestazioni di previdenza complementare, sempre che sussistano gli altri requisiti di legge e di contratto. Qualora il versamento del ‘TFR’ nel ‘Fondo’ sia eseguito da parte del datore di lavoro, ai fini dell’operatività della legge sul divorzio, non rileva accertare se l’adesione al Fondo abbia previsto come criterio operativo una delegazione di pagamento ovvero una cessione del credito, perché, con l’esecuzione del versamento da parte del datore di lavoro, i corrispondenti importi vengono destinati alla previdenza complementare e quest’ultimo non può più vantare alcun credito nei confronti del datore di lavoro avente ad oggetto il ‘TFR’ conferito. In tal modo, il lavoratore compie un atto dispositivo del suo credito al ‘TFR’, consentito dal sistema normativo vigente, anche se tale credito è ancora futuro (‘TFR’ maturando) o non è ancora esigibile (‘TFR’ maturato, ma in pendenza di rapporto di lavoro), e, una volta che il versamento è effettuato, viene meno l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere al lavoratore il ‘TFR’ che ha versato. Si tratta di un atto negoziale che, anche se non comporta la percezione delle corrispondenti somme da parte del lavoratore, dal punto di vista del rapporto di lavoro, produce gli stessi effetti della percezione di anticipazioni sul ‘TFR’ in costanza di rapporto di lavoro, perché, si ribadisce, il ‘TFR’ versato al fondo non è più dovuto dal datore di lavoro al lavoratore. Ciò significa che, in base a quanto sopra evidenziato in ordine alle sorti delle anticipazioni del ‘TFR’ erogate prima della proposizione della domanda di divorzio, anche in questo caso, se il menzionato conferimento del ‘TFR’ nel fondo è anteriore all’introduzione del giudizio di divorzio, il coniuge avente diritto all’assegno divorzile successivamente riconosciuto non può vantare alcun diritto sul ‘TFR’ versato.

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