La coltivazione di 6 piantine di cannabis in giardino non è reato

L’imputato era finito nei guai a seguito della perquisizione domiciliare effettuata dalle forze dell’ordine. Ma in Cassazione vengono meno le accuse

La coltivazione di 6 piantine di cannabis in giardino non è reato

Nella provincia siciliana, un uomo finiva sotto processo a seguito di una perquisizione effettuata dalla polizia presso la sua abitazione. Durante tale perquisizione, erano infatti state ritrovate 6 piante di cannabis nel giardino e 20 grammi di marijuana nascosti all'interno della casa. Secondo i giudici del tribunale di primo grado, l'uomo era colpevole di detenzione di droga con l'intento di spaccio. Tuttavia, in appello, la Corte ha riconosciuto che la gravità del comportamento tenuto non era particolarmente elevata, riducendo così la pena a 6 mesi di reclusione e 800 euro di multa.

Malgrado la riduzione della pena, l’imputato ha deciso di fare ricorso in Cassazione, affermando di non meritare punizione poiché la coltivazione di cannabis era destinata, a suo dire, esclusivamente all'uso personale.

In particolare, l'avvocato difensore ha sostenuto che l'analisi fatta dai giudici d'appello sulla coltivazione delle 6 piante era irrilevante, affermando che il diverso grado di maturazione delle piante non dimostrava una crescita pianificata per ottenere una maggiore quantità di droga.

L’avvocato difensore richiama inoltre il principio secondo cui «non integra il reato di coltivazione di sostanza stupefacente, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante».

La Cassazione ritiene esclude la sussistenza del reato di coltivazione di piante dalle quali è possibile trarre sostanze stupefacenti.

Ciò perché è vero che «il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente», ma, precisano i giudici, condividendo l’obiezione difensiva, «non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto».

In altre parole, «l’inoffensività della condotta di coltivazione di stupefacenti» può emergere da diversi dettagli, come il fatto che «il soggetto deve essere un assuntore abituale della specifica sostanza, non vi debbono essere elementi idonei a ritenere la destinazione della sostanza ala cessione a terzi, infine la coltivazione deve avere ad oggetto un numero limitato di piante e deve essere svolta senza l’adozione di alcuna particolare tecnica atta ad ottenere un quantitativo apprezzabile di stupefacente».

Proprio applicando tale prospettiva, secondo i giudici di Cassazione, risulta l’inoffensitività della condotta essendo stato riconosciuto l’uso personale della sostanza rinvenuta e non essendoci elementi idonei a sostenere una destinazione anche a terzi del prodotto della coltivazione, «coltivazione che, soprattutto, aveva ad oggetto un numero limitatissimo di piante, coltivate in maniera del tutto rudimentale, mediante semplice invaso e collocazione nel giardino della casa».

 

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